Muhammad Yunus, economista del Bangladesh, ora conosciuto in tutto il mondo come il “banchiere dei poveri” in quanto fondatore della Grameen Bank (in lingua bengali “Banca di villaggio”), ha ricevuto nel 2006 il Premio Nobel per la Pace, nella cui motivazione del conferimento si legge “soprattutto attraverso la Grameen Bank, il prof. Yunus ha reso il microcredito uno strumento sempre più importante nella lotta alla povertà. La Grameen Bank è fonte di ispirazione e di modelli per le numerose istituzioni del settore del microcredito che sono nate in ogni parte del mondo”.

Il mio contatto iniziale con la povertà
non fu questione di impegno politico,
di ricerca sul campo o di studio.
Semplicemente la povertà mi circondava completamente
e non avevo modo di far finta di non vederla.

(Yunus, 2008, 58)

Era il 1972 quando Muhammad Yunus, un giovane professore di economia che aveva da poco completato il proprio programma di Ph.D. presso la Vanderbilt University negli Stati Uniti, tornò nel suo paese natale, il Bangladesh, accettando la posizione di professore associato alla Chittagong University e ricoprendo, inoltre, l’incarico di direttore presso il dipartimento di economia. La terribile carestia che colpì il paese nel 1974 lo segnò profondamente. Decise, allora, di toccare con mano i problemi che affliggevano i poveri del Bangladesh, scendendo, assieme ad alcuni suoi studenti, per le strade del villaggio di Jobra, vicino all’Università di Chittagong, sapendo che quella sarebbe stata la sua “università” e i suoi abitanti i suoi “docenti”.

Fu l’incontro con Sufia Begum a far capire a Yunus quale fosse il problema: “lei fabbricava con notevole abilità funzionali ed eleganti sgabelli di bambù nella fangosa aia della sua abitazione. Eppure, anche in questo caso per qualche ragione tutta la sua dura fatica non riusciva a tirar fuori la famiglia dalla povertà. Parlandole, finalmente riuscii a capire perché. Come quasi tutti nel villaggio, Sufia si faceva anticipare dagli strozzini locali il denaro che le serviva per comprare il bambù per gli sgabelli, e lo strozzino le dava il denaro solo se lei acconsentiva a consegnargli tutta la produzione al prezzo che lui stabiliva. Grazie a questo infame accordo e agli alti interessi che doveva pagare sul prestito, tutto quello che e restava erano solo due penny per una giornata di lavoro.” (Yunus, 2008, 59-60).

Continuando l’indagine, con suo grande stupore, si accorse che sarebbe stato possibile salvare dall’usura quarantadue vittime prestando loro la somma di ottocentocinquantasei taka, ossia meno di ventisette dollari. L’assurdità della situazione spinse Yunus ad offrire di tasca propria l’equivalente di ventisette dollari, ma, allo stesso tempo, sapeva che quel gesto, nato da una logica puramente affettiva, non sarebbe stato la soluzione al problema. Fu quello l’inizio di tutto.

Falliti numerosi tentativi di convincimento di alcune istituzioni finanziarie tradizionali, convinte che i poveri non fossero solvibili e che la mancanza di una garanzia reale impedisse loro di accedere al credito, Yunus lancia un progetto pilota nel villaggio di Jobra, mettendo i propri soldi a garanzia delle somme prestate, che, negli anni a venire, si rivela un successo: i poveri restituivano le somme prestate, sempre e alle scadenze pattuite! Nel 1977 un incontro fortunato con il direttore della Bangladesh Krishi Bank, A.M. Anisuzzaman, gli permise di aprire a Jobra una speciale succursale per continuare l’esperimento del prestito ai poveri.

Nonostante il successo, le banche non cambiarono idea, ricollegando gli ottimi risultati principalmente al carisma dell’economista: ciò spinse Yunus a fondare lui stesso una banca esclusivamente per i clienti poveri, che prestasse soldi in assenza di garanzie reali, a clienti sconosciuti, senza istruire pratiche legali. Nel 1983 il suo sogno, sotto il nome di Grameen Bank, prese vita e, con esso, una forma particolare di microcredito moderno, le cui principali caratteristiche sono: la centralità della donna e del prestito di gruppo, l’assenza di qualunque tipo di garanzie collaterali e di strumenti giuridico-legali, la contestuale preponderanza di concetti come la fiducia e la reciprocità e, alla base di tutto, una visione differente di povertà e del conseguente modo di “curarla”.